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mercoledì 12 marzo 2014

Il problema della Produttività del Lavoro e la necessità di un nuovo Patto Sociale

La settimana scorsa Olli Rehn annunciava che l'Italia era uno dei tre paesi dell'Unione Europea ad avere gravi squilibri macroeconomici.
 
La dinamica salariale non in linea con l’andamento della produttività grava sulla competitività di costo e i fattori non di costo rimangono sfavorevoli.
In Italia il costo del lavoro per unità di prodotto è in aumento rispetto ai partner commerciali dall’inizio degli anni 2000. Vi sono segnali di aggiustamento della retribuzione nominale, soprattutto in forza di un congelamento dei salari nel settore pubblico. Tuttavia la contrattazione collettiva permane altamente centralizzata a livello settoriale, senza tenere affatto conto della produttività a livello delle imprese e delle condizioni del mercato locale del lavoro. Inoltre, un elevato cuneo fiscale grava sul costo del lavoro. I costi sono gravati altresì dalla dipendenza eccessiva dell’Italia dalle importazioni di energia e dagli elevati costi dell’attività d’impresa. Infine, la competitività dell’Italia è ostacolata da una specializzazione merceologica sfavorevole e da un’elevata percentuale di piccole imprese con una posizione competitiva debole sui mercati internazionali.
Fonte: http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/occasional_paper/2014/op182_en.htm


E' assolutamente doveroso però spiegare cosa significhi "costo del lavoro per unità di prodotto". Infatti noi tutti ci sentiamo più poveri e sappiamo  che il nostro salario non  è effettivamente aumentato.
Il CLUP (costo del lavoro per unità di prodotto) indica quanto prodotto (misurato tipicamente su valore aggiunto) è stato creato per ora di lavoro. Questi indicatori sono collezionati dall'Istat come membro del sistema Eurostat. La Banca Centrale Europea fornisce indici del costo del lavoro per unità di prodotto per settore merceologico (NACE) e aggregati nazionali.
E' incredibile notare che negli ultimi 15 anni l'Italia ha perso competitivtà e capacità di creare valore rispetto ai partner europei come  risulta dal grafico seguente:

 

Quali sono le cause di questa regressione?
Quì di seguito tento di trovarne alcune di buon senso.

1) Assenteismo.

Un mio amico  imprenditore ha di recente incontrato i sindacati che gli chiedevano come migliorare  la produttività del lavoro. Lui ha scoperto che nella sua azienda  è stato capace di tagliare l'assenteismo del 23% pagando dei premi a chi avesse totalizzato un numero contenuto di assenze di lavoro. L'assenteismo è un duplice costo per l'Italia sia perchè riduce l'output finale dell'impresa e quindi il valore aggiunto creato per ora lavorata, sia perchè viene finanziato parzialmente dal nostro sistema di welfare.
Tanti motivi determinano l'assenteismo, alcuni sono personali, altri fattori relative all'impresa e all'ambiente di lavoro ed altri di carattere sociale.
Un paper interessante su questo tema a complesso è:

3) Specializzazione Merceologica

Osservando la bilancia commerciale Italiana ci si rende conto  che la nostra industria esporta principalmente beni a basso contenuto tecnologico. Il grafico  in basso mostra come le esportazioni Italiane abbiano ridotto il loro contenuto tecnologico negli ultimi 20 anni

Pare che l'Italia registri un quarto dei brevetti della Germania in un anno solare.
Questo problema dovrebbe essere affrontato su più fronti. non soltanto pagando in modo  competitivo i  ricercatori universitari, ma impostando una politica industriale orientata all'innovazione tecnologica. Per decenni  tramite i programmi di Sviluppo Italia si sono finanziati progetti di autoimpresa a basso valore aggiunto. Gli incubatori d'impresa sono diventati apparati burocratici sovvenzionati dallo Stato. Questo tipo di politiche non hanno aiutato processi di concentrazione aziendale e consentito il raggiungimento di dimensioni tali  da generare economie di scala. Personalmente diffiderei anche di quei politici che dicono che l'Italia deve puntare su ciò che sa fare tradizionalmente: cibo e vestiti. Certo bisogna saper vendere i prodotti classici valorizzandone l'unicità, ma questo comunque potrebbe non essere sufficiente. L'Italia dovrebbe entrare in settori industriali a più alto contenuto tecnologico e valore aggiunto. L'Italia per esempio  deve entrare nell'Industria dei dati e delle reti. Oggi giorno l'Italia non è competitiva proprio in quei settori dove altri paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Germania e la Francia trovano maggior valore aggiunto. Google fattura 55 miliardi di dollari annui e il Gruppo Editoriale l' Espresso fattura un centesimo di Google. Un settore apparentemente semplice come quello della vendita di spazi pubblicitari, oggi si fa in modo innovativo e diverso rispetto a dieci anni fa, ma l'Italia non si è aggiornata e ha perso un'opportunità.

3) Accumulazione di Capitale Umano

L'Italia non accumula Capitale Umano. I nostri lavoratori sono sempre meno preparati e capaci. A mio parere questo è il  principale corollario della precarietà del lavoro. Il lavoro flessibile in altri paesi Europei èdeclinato in modo completamente diverso dall'Italia. Un'azienda in Gran Bretagna paga un lavoratore a progetto molto di più di un dipendente a tempo indeterminato perchè ha bisogno di sviluppare progetti per competenze non core o per lanciare progetti rischiosi avendo comunque un exit strategy. In Italia il lavoro flessibile altro non è un lavoro standard scollegato da progetti a basso costo. Il Co.co.pro è statoimplementato in modo totalmente sbagliato.
Chiediamoci perchè un'azienda dovrebbe investire nella formazione di una persona che può sostituire facilmente. Se un processo tipico può essere fatto da uno stagista o un co.co.pro che ruota l'azienda non ha nessun incentivo nel migliorare il processo e quindi la produttività del lavoro.
Il precariato oggi è un incentivo a mantenere bassa produttività del lavoro, a ritardare l'adozione di programmi di qualità lean six sigma. Sfortunatamente è il processo di un dilemma del prigioniero che si è venuto a creare tra Confindustria e Sindacati, dove i primi tentano di ridurre i costi del fattore lavoro ed i secondi a tutelare i diritti acquisiti dei propri iscritti (i lavoratori dipendenti) a tutto svantaggio dei precari e della produttività del lavoro di cui oggi scontiamo il costo sociale. 

4) Dimensioni Aziendali

Le piccole imprese sottocapitalizzate non sono competitive. I sistemi di Governance delle Imprese devono cambiare. L'Ace dell ex-ministro Passera va nella giusta direzione, ma ci sono ancora troppe distorsioni in Italia che rendono le aziende poco trasparenti e socialmente conflittuali.Misure fiscali di detrazione IRAP nell'ipotesi di reinvestimento degli utili  potrebbero aiutare a far crescere le imprese.

5) Un Nuovo Patto Sociale

Tutti questi punti in realtà sono uniti da una sottile linea Rossa. Sviluppo del Capitale Umano, Governance, Ricerca, Lotta all'Assenteismo possono stare insieme solo se al centro del progetto imprenditoriale si valorizzano le Persone.
Un lavoratore motivato che vive in un ambiente sano non si ammala e non si assenta, sviluppa idee nuove che migliorano processi industriali e partecipa allo Sviluppo dell'Azienda facilitando la Ricerca in un contesto di Governance "flat" dove può "sentire di fare la differenza."
Bisogna cambiare la visione Ottocentesca dell'Impresa Italiana. Superare le categorie di Padroni e Compagni ed entrare in un'altra ottica dove tutti partecipano al bene comune ed hanno una responsabilità sociale che li valorizza. Sfortunatamente oggi non vedo in nessun partito politico ed in  nessuna parte sociale  un programma orientato a questo nuovo patto e le associazioni di categoria sono arroccate su posizioni anacroniste fornendo soluzioni antiche a problemi nuovi.

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